La recente decisione del Consiglio federale di sottoporre il trattato negoziato con l’UE solo al referendum popolare ordinario, in modo che sia necessaria solo la maggioranza popolare e non quella dei cantoni, è estremamente discutibile e potrebbe rivelarsi un boomerang. È vero che, secondo la Costituzione federale, il referendum obbligatorio sui trattati internazionali si applica espressamente solo all’adesione a «organizzazioni di sicurezza collettiva» (per es. la NATO) o «a comunità sovrannazionali» (per es. l’ONU). È tuttavia altrettanto indiscutibile che, secondo la prassi finora seguita, ciò non esclude che il parlamento possa sottoporre a referendum obbligatorio (popolo e cantoni) trattati internazionali di importanza straordinaria. Lo ha confermato esplicitamente la consigliera federale Karin Keller-Sutter, allora ministra della giustizia, a nome del Consiglio federale, in occasione della discussione sulla mozione del consigliere agli Stati Caroni «Referendum obbligatorio per i trattati internazionali di carattere costituzionale».
Sebbene il testo dell’accordo non sia ancora stato pubblicato – in particolare nella versione tedesca – si può presumere che, per quanto riguarda i suoi contenuti rilevanti dal punto di vista politico-costituzionale, non vi siano modifiche sostanziali rispetto al cosiddetto «Common Understanding» – che ha costituito la base per i negoziati dell’accordo – in materia di ripresa del diritto dell’Unione europea, interpretazione dello stesso e risoluzione delle controversie.
Gli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE sono trattati internazionali. Si tratta quindi, a differenza delle leggi statali, di norme stabilite per via contrattuale. Il diritto contrattuale può però essere modificato e adeguato alle nuove circostanze solo di comune accordo. Ora, gli accordi bilaterali presentano la particolarità di essere fortemente influenzati dal diritto UE. E poiché, come è noto, il diritto UE è in continua evoluzione, l’UE vorrebbe ora che gli accordi bilaterali fossero automaticamente adeguati ogni volta che il diritto UE pertinente viene modificato. La Svizzera avrebbe sì la possibilità di rifiutare l’adozione di nuove norme UE, se del caso anche tramite referendum, ma in tal caso dovrebbe aspettarsi da parte dell’UE delle cosiddette «misure di compensazione», ovvero sanzioni. E queste non dovrebbero necessariamente limitarsi all’accordo in questione, ma potrebbero estendersi anche qualsiasi altro accordo. Considerando i precedenti «sgarbi» dell’UE, quest’ultima non esiterebbe a imporre misure di compensazione in una situazione concreta. E questa spada di Damocle rafforzerebbe senza dubbio la tendenza della Svizzera ad adottare il diritto UE, non da ultimo anche in una votazione popolare a seguito di un referendum.
Già solo la ripresa automatica del nuovo diritto UE nel settore del mercato interno, prevista dai nuovi trattati, evidenzia la portata di una limitazione – perlomeno di fatto – delle competenze e di una restrizione della libera formazione dell’opinione delle cittadine e dei cittadini nella Confederazione e nei cantoni, e dovrebbe quindi costituire di per sé un motivo sufficiente per sottoporre il trattato a referendum obbligatorio. A ciò si aggiunge il fatto che, con l’interpretazione e la risoluzione delle controversie, si aggiungono altri due elementi importanti dal punto di vista del diritto pubblico e che limitano la nostra sovranità. Sia per l’interpretazione (dei trattati) che per la risoluzione delle controversie varrebbe infatti obbligatoriamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), nella misura in cui gli accordi e gli atti giuridici dell’UE da essi interessati contengono «nozioni giuridiche dell’UE».
Il coinvolgimento dei cantoni nel referendum è tanto più necessario in quanto, in ultima analisi, per il nostro paese si tratterà di decidere se gli eventuali svantaggi economici derivanti dal rifiuto del vincolo istituzionale auspicato, rispettivamente preteso dall’UE siano da considerarsi più rilevanti della perdita di autodeterminazione che con certezza ne deriverebbe. Nell’analisi va inoltre considerata l’attuale situazione dell’UE. Questa, nonostante il principio di sussidiarietà sia espressamente sancito nel trattato UE, si sta trasformando sempre più in una struttura centralistica. Ciò comporta una crescente emarginazione degli Stati membri e delle loro popolazioni, il che, nel contesto del potere della Commissione europea, dei suoi funzionari e della sua amministrazione, nonché della conseguente densità e mole sempre crescenti delle normative, porta a un sostanziale deficit democratico. Infine, non pochi Stati membri dell’UE, alcuni dei quali grandi e importanti, si trovano attualmente in una situazione politica ed economica tutt’altro che rosea, sono in particolare fortemente indebitati e tendono a un marcato statalismo. Alla luce di queste circostanze, è purtroppo lecito dubitare che l’UE riesca a trovare la forza di riconoscere l’urgente necessità di riforme, per non parlare poi di attuarle.
C’è quindi da sperare che il parlamento trovi il coraggio e la forza di ordinare il referendum obbligatorio. Tanto più che anche i cantoni, i cui interessi sono pure coinvolti, si stanno schierando a favore.

Dr. H. H. Inderkum,
ex-consigliere agli Stati, cantone di Uri (il Centro)
Perciò NO al previsto trattato di sottomissione all’UE / NO a Gessler 2.0!
Non vogliamo: OBBEDIRE, SOPPORTARE, PAGARE E TACERE.